(Murano, 18 maggio 1810 – Milano, 5 marzo 1876) Librettista, destinato dal padre alla carriera ecclesiastica, abbandonata nel 1827, si trasferì a Roma, dove venne nominato socio dell’Accademia Tiberina, al cui interno ebbe modo di conoscere Giuseppe Gioachino Belli, che gli dedicò il sonetto Al Signor Francesco Maria Piave. Tornato a Venezia nel 1838, quattro anni più tardi venne assunto come poeta del Teatro La Fenice. Il 10 agosto 1843, scrivendo all’amico Jacopo Ferretti – conosciuto ai tempi del soggiorno romano – Piave parla della sua prima collaborazione con Verdi (Ernani, andato in scena alla Fenice il 9 marzo 1844), che permise al librettista di entrare a pieno diritto nella stretta cerchia dei verseggiatori d’opera più ricercati dell’epoca, scrivendo testi – solo per citarne alcuni – per Mercadante, Pacini e Braga. Piave fu il più prolifico librettista verdiano, componendo nell’arco di diciotto anni ben dieci titoli per il Maestro: oltre al già citato Ernani, verseggiò I due Foscari (3 novembre 1844), Macbeth (14 marzo 1847), di cui curò anche la seconda versione (21 aprile 1865), Il corsaro (25 ottobre 1848), Stiffelio (16 novembre 1850), Rigoletto (11 marzo 1851), La traviata (6 marzo 1853), Simon Boccanegra (12 marzo 1857), Aroldo (16 agosto 1857), rifacimento di Stiffelio, e La forza del destino (10 novembre 1862). Le ragioni del duraturo sodalizio tra Verdi e Piave sono da ricercare principalmente nella capacità del librettista di adattarsi con estrema flessibilità alle esigenze musicali imposte dal Maestro, accettando persino – su iniziativa di Verdi – le umilianti revisioni di Macbeth e di Simon Boccanegra rispettivamente ad opera di Andrea Maffei e Giuseppe Montanelli. In segno di profonda riconoscenza, nel 1867 Verdi fornì un consistente aiuto economico alla famiglia di Piave, il quale non poté più provvedere al sostentamento di moglie e figlia a causa di un invalidante attacco apoplettico.