Gli anni Cinquanta segnano la maturità artistica di Verdi che si concretizza in quella trilogia popolare (costituita da Rigoletto, Il trovatore, La traviata), nata nel giro di appena due anni e mezzo e suggello definitivo della sua fama.
La possibilità di comporre un’opera tratta dal dramma di Victor Hugo Le roi s’amuse, rappresentato a Parigi nel 1832 e proibito dopo appena una recita, viene presa in considerazione da Verdi nella primavera del 1850, quando firma un nuovo contratto con il Teatro La Fenice. Il compositore sa bene che potrebbero verificarsi gravi problemi con la censura, ma la convinzione che si tratta di un “soggetto grande, immenso, ed avvi un carattere che è una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche” lo inducono a intraprendere questa strada accidentata. Lo scontro con la censura veneziana è durissimo, innanzi tutto perché le autorità austriache, dopo i fatti del 1848, erano diventate ancora più rigide e non ammettevano soggetti come Le roi s’amuse, contrari alla pubblica decenza e soprattutto al principio dell’autorità sovrana.
Nel braccio di ferro che ne deriva Verdi si mostra però deciso a non rappresentare affatto l’opera piuttosto che ad acconsentire a cambiamenti inconciliabili con i propri ideali artistici. Alla fine riesce a spuntarla: la vicenda resta inalterata nelle sue linee essenziali, anche se l’azione viene spostata di tempo e di luogo e il re di Francia trasformato in un anonimo duca rinascimentale italiano. Il Rigoletto, su libretto di Piave, va in scena l’11 marzo 1851 con grande successo, anche se qualcuno dei giornalisti non manca di scandalizzarsi di fronte alla presunta “immoralità e trivialità” della vicenda.
Mentre Verdi è ancora alle prese con la censura veneziana suggerisce al librettista Salvadore Cammarano di prendere in considerazione per la prossima collaborazione il dramma El trovador dello scrittore romantico spagnolo Antonio Garcia Gutiérrez, tradottogli in italiano dalla compagna Giuseppina Strepponi. Quando il 19 luglio 1852 muore Cammarano, il libretto del Trovatore non è ancora terminato, e pertanto Verdi dà l’incarico al giovane poeta napoletano Emmanuele Bardare di completare il testo. L’opera, andata in scena il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma, ottiene un successo travolgente grazie all’immediata forza delle melodie e al clima infuocato e veemente, dominato dal personaggio di Azucena, “carattere singolare e di cui ne farei il titolo dell’opera”, l’unica grande figura di madre del teatro verdiano nella lunga galleria di padri (e forse a questa scelta non è estranea la morte della madre del compositore, avvenuta nel giugno del 1851). La genesi della Traviata è strettamente legata a quella del Trovatore. Verdi aveva avuto modo di vedere a Parigi nel 1852 al Théâtre du Vaudeville un dramma di Alexandre Dumas figlio, La dame aux camélias, tratto dal romanzo omonimo dello stesso autore, dove era narrata la storia d’amore tra una celebre mantenuta parigina e un giovane borghese, nei tratti dei quali non era difficile riconoscere lo stesso Dumas e Marie Duplessis, affascinante cortigiana dell’epoca.
Cosicché quando Verdi firma nel maggio 1852 un contratto con il Teatro La Fenice di Venezia per un’opera da rappresentarsi nella successiva stagione di Carnevale è chiaramente al dramma di Dumas che pensa: lo attrae soprattutto la sua carica eversiva, il suo atto di accusa nei confronti di una società che sacrifica sull’altare delle convenienze morali una donna la cui unica sola colpa è amare. Il libretto, anche questo steso da Piave, spostato per ragioni di prudenza all’epoca di Richelieu, supera indenne il vaglio della censura, ma quando il 6 marzo 1853 l’opera va in scena, cade clamorosamente, forse, oltre che per una compagnia di canto non adeguata, anche per il soggetto troppo moderno e nuovo, lontanissimo dai clichés operistici del tempo.
Dopo aver apportato alcuni cambiamenti di lieve entità nella parte musicale, La traviata viene rappresentata l’anno successivo, il 5 maggio 1854, di nuovo a Venezia al Teatro San Benedetto; questa volta è un grande trionfo che apre all’opera la strada di tutti i teatri del mondo, destinandola a diventare una delle più popolari di Verdi e dell’intero repertorio italiano. Dopo questo formidabile sforzo creativo che porta alla nascita quasi simultanea di tre capolavori, caratterizzati da una nuova capacità di delineare con felice pregnanza le diverse situazioni drammatiche e la psicologia di caratteri estremamente complessi e sfaccettati, la produzione di Verdi assume un ritmo più pacato.
Le sue opere successive nascono così dopo un lungo processo di maturazione che si svolge spesso nella quiete della villa di Sant’Agata, eletta a ritiro prediletto dove difendere il proprio spazio più privato e personale, la sua immagine di “contadino” che amministra di persona la sua tenuta, scava pozzi artesiani, si interessa di argini, sementi, nuovi mezzi e metodi di coltivazione che lo spingono per primo a importare dall’Inghilterra le macchine agricole.