La lunga tela tessuta da Boito per convincere Verdi a dedicarsi alla composizione di Otello risale all’autunno 1879 con l’invio del libretto che incontra il favore del compositore: prende avvio a questo punto una lunga corrispondenza molto interessante che documenta la lunga gestazione dell’opera e le modifiche via via apportate al dramma shakespeariano per renderlo più organico e coerente. Tuttavia il progetto, tenuto rigorosamente segreto – nelle lettere Verdi per alludere al suo nuovo personaggio usa l’espressione “cioccolatte” – è momentaneamente accantonato perché il maestro si dedica prima, nel 1881, a rimaneggiare il suo Simon Boccanegra, di cui Boito riscrive il finale del primo atto – primo saggio di lavoro in comune – e poi nel 1882-1883 cura la revisione della sua partitura più complessa, il Don Carlos. E’ dunque solo nel 1884, all’età di settant’anni, che Verdi si accinge a scrivere l’Otello, terminato l’anno successivo e andato in scena alla Scala il 5 febbraio 1887 in un clima di spasmodica attesa. L’evento, preparato con la consueta cura minuziosa da Verdi che si occupa in prima persona della scelta dei cantanti, della messinscena, dei costumi, si risolve in un colossale trionfo che dilaga in breve in tutta Europa, suscitando ovunque ammirazione per l’adozione di un nuovo linguaggio che, pur senza rinnegare il passato e i valori melodici, supera definitivamente la tradizionale struttura del melodramma italiano per creare un flusso musicale continuo, capace di riflettere perfettamente i diversi momenti dell’azione, trapassando dal recitativo al declamato al canto spiegato.
Ma la parabola compositiva di Verdi non si conclude con l’Otello. Fin dalla metà degli anni Settanta il compositore andava accarezzando l’idea di scrivere un’opera comica, in parte per dare nuovo lustro alla tradizione dell’opera buffa italiana, sempre più appannatasi nel corso degli anni, e in parte per cancellare il brutto ricordo del clamoroso fiasco di Un giorno di regno, la sua unica e sfortunata prova in questo genere. E’ proprio su questo desiderio che Boito fa leva per indurre Verdi a riprendere ancora una volta la penna in mano. Il soggetto che gli propone è sempre desunto da Shakespeare, dalla commedia Le allegre comari di Windsor, con al centro il personaggio di Falstaff, il cavaliere corpulento e gaudente, vittima di burle ordite ai suoi danni da un gruppo di donne, decise a farsi beffe dei suoi corteggiamenti. Agli inviti di Boito, Verdi oppone all’inizio continui pretesti, come la sua età ormai troppo avanzata, ma alla fine si convince e nel luglio 1889 pone mano alla partitura. Nell’opera di Verdi la commedia shakespeariana si tinge di una luce crepuscolare, sotto l’allegria scanzonata circola la consapevolezza della vanità dell’esistenza umana, sancita dalla grande fuga che chiude l’opera: “Tutto nel mondo è burla”. Quando il Falstaff andrà in scena il 9 febbraio 1893 alla Scala di Milano, verrà accolto con strepitoso successo da un pubblico sorpreso da un miracolo di freschezza e sapienza musicale, dove vengono elargiti a piene mani temi e motivi di prodigiosa varietà in un mosaico composito che sembra schiudere nuovi e imprevisti orizzonti.
Negli ultimi anni anni di vita Verdi si ritrae sempre più nel mondo degli affetti familiari, dividendosi tra Sant’Agata e Genova e coltivando la composizione di brani di musica sacra, quasi solo per se stesso. Soltanto nel 1898 acconsentirà, cedendo alle insistenze di Ricordi, alla pubblicazione di quei brani che, sotto il titolo Quattro pezzi sacri (Ave Maria, Stabat mater, Laudi alla Vergine Maria, Te Deum), verranno eseguiti per la prima volta a Parigi il 7 aprile di quell’anno: una testimonianza della sua spiritualità, da non intendere in senso religioso – fino all’ultimo sarà sostanzialmente un agnostico – ma piuttosto ideale e morale. D’altra parte la grandezza dell’uomo è attestata anche dalle sue opere filantropiche: la costruzione dell’ospedale di Villanova sull’Arda, a pochi chilometri da Sant’Agata, inaugurato il 5 novembre 1888, e della Casa di riposo per musicisti a Milano, eretta su progetto dell’architetto Camillo Boito, fratello di Arrigo e ultimata nel 1899, definita dallo stesso Verdi “l’opera mia più bella”. Dopo la morte di Giuseppina Strepponi il 14 novembre 1897 Verdi è assistito dalla figlia adottiva Maria e dagli amici più giovani, Arrigo Boito e Giulio Ricordi, che lo persuadono a trascorrere gli inverni a Milano, nella suite al primo piano dell’Hôtel Milan. Sarà qui che Verdi si spegnerà all’alba del 27 gennaio 1901 in seguito a un ictus. Per disposizione testamentaria la sua salma e quella di Giuseppina verranno traslate nella Casa di riposo per musicisti, dove si trovano tuttora. In occasione del primo centenario della nascita nel 1913 vennero organizzate numerose manifestazioni celebrative in tutta Italia, tra le quali anche quelle tenute al San Carlo di Napoli, illustrate in un periodico appositamente pubblicato dal Teatro.