Nonostante Verdi alla nascita fosse stato registrato all’anagrafe di Busseto con i nomi di Joseph Fortunin François, Parigi veniva percepita per gli abitanti della Bassa Parmense – soggetti alla dominazione francese – come un lontano miraggio. Solo grazie al proprio talento musicale, il “villanello delle Roncole” seppe conquistare la Ville Lumière, definita dallo stesso Verdi «la capitale del mondo moderno».
Il 6 settembre 1847 il Maestro si trovava a Parigi per l’allestimento della Jérusalem (rielaborazione de I lombardi alla prima Crociata in chiave di grand opéra), suo debutto transalpino (26 novembre 1847), quando scrisse alla contessa Maffei le prime impressioni sulla capitale francese: «Se Ella non lo dice a nessuno le dirò che non mi piace Parigi ed ho un’antipatia mortale coi Boulevards perché là si trovano amici, nemici, preti, frati, soldati, spie, stoccatori insomma un po’ di tutto ed io faccio il possibile per evitarli sempre: capisco che sarò strano ma non so che dire! da un lato solo mi piace Parigi ed è che in mezzo a tanto frastuono mi pare di essere in un deserto. Nissuno si occupa di me […].».
Gli ambivalenti stati d’animo che la metropoli suscitò in Verdi spiegano la renitenza del Maestro nello stabilirsi a titolo definitivo – come fece invece Rossini – nella Parigi dei teatri e degli ateliers, che Verdi frequentò periodicamente, per complessivi sette anni, fino al 1894. Come già in precedenza era accaduto a Milano, il Maestro ebbe la straordinaria capacità di assorbire e rielaborare le proteiformi sollecitazioni culturali che la scena parigina dell’epoca poteva offrirgli, sia sul versante del teatro musicale (grand opéra, opéra comique, mélodrame, opéra lyrique, drame romantique) che su quello in prosa (Verdi nel 1849 assistette al dramma Le pasteur, ou L’évangile et le foyer, fonte letteraria dello Stiffelio, mentre nel 1852 rimase affascinato da La dame aux camélias, futura Traviata nel libretto di Piave).
Il primo soggiorno di Verdi a Parigi si protrasse – intervallato da alcuni viaggi a Milano, Busseto e Roma – per circa due anni, periodo in cui il musicista emiliano, oltre a immergersi nella temperie intellettuale della capitale francese e cimentarsi nella composizione de La battaglia di Legnano, fu testimone della rivoluzione che il 25 febbraio 1848 portò alla proclamazione della Seconda Repubblica. In quegli stessi concitati giorni, Verdi si assicurò un nuovo contratto con l’Opéra, teatro che suscitò sempre nel compositore profondo scetticismo dal punto di vista della qualità musicale, ma – al contrario – grande ammirazione per la magnificenza dei propri apparati scenografici, tanto da spingere Verdi a definire il Teatro parigino, in una lettera ad Escudier, la «Grande Boutique».
Dopo il suo rientro in patria nel 1849, passarono quattro anni prima che il Maestro rimettesse piede in una Parigi che nell’autunno 1853 cominciò a cambiare volto nel quadro della pianificazione urbanistica di Haussmann. L’anno precedente l’amico Escudier lo aveva raggiunto in Italia per recapitargli personalmente il titolo della Légion d’honneur che Luigi Bonaparte aveva conferito al musicista (10 agosto 1852).
Il secondo soggiorno parigino del Maestro, sebbene interrotto nel ’56 da una lunga parentesi nel Belpaese, si prolungò fino al 1857 e si caratterizzò per un nuovo atteggiamento nei confronti della produzione artistica destinata ai teatri d’Oltralpe, ai quali fino allora aveva riservato esclusivamente rivisitazioni in chiave francese di lavori preesistenti. La messa in scena del nuovo titolo, Les vêpres siciliennes (13 giugno 1855) fu alquanto travagliata: alle incomprensioni sorte fra Verdi e il librettista Eugène Scribe si andò ad aggiungere, durante le prove, la sconcertante fuga d’amore in Costa Azzurra del soprano Sophie Cruvelli, la quale tornò a Parigi dopo più di un mese, contribuendo ad esasperare quel clima di tensione che Berlioz così descrisse all’amico Auguste Morel: «une scène terrible à la répétion générale. Le pauvre homme me fait mal; je me mets à sa place. Verdi est un digne et honorable artiste [una scena terribile alla prova generale. Sto male per quel pover’uomo; mi metto al suo posto. Verdi è un artista degno e onorevole]».
La prima de Les vêpres siciliennes vide la presenza in sala di Napoleone III e la favorevole accoglienza tributata dal pubblico parigino al nuovo titolo verdiano spinse la direzione dell’Opéra a mandarla in scena per un numero di recite superiore a quello inizialmente pattuito. Negli ultimi mesi di questo lungo periodo di permanenza a Parigi, Verdi portò a termine la composizione de Le trouvère (Opéra, 12 gennaio 1857), versione francese de Il trovatore (la cui prima transalpina al Théâtre-Italien, il 26 dicembre 1854, venne diretta dallo stesso musicista italiano), tradotto da Emilien Pacini, con un balletto scritto ex novo per la coreografia di Lucien Petipa.
Tornato in patria dopo l’allestimento de Le trouvère, il Maestro negli anni Sessanta si riaffacciò sulla scena parigina solo per fugaci soggiorni, uno dei quali, nel 1862, gli permise di conoscere Arrigo Boito, autore dei versi dell’Inno delle Nazioni, musicato da Verdi per l’Esposizione universale di Londra. Se non si recò a Parigi per la nuova versione di Macbeth al Théâtre-Lyrique (21 aprile 1865), accolta peraltro senza particolari entusiasmi, Verdi vi fece ritorno a fine settembre del 1866 per dirigere le prove di Don Carlos, secondo progetto di grand opéra totalmente originale, tacciato di filo-wagnerismo da Bizet e poco apprezzato dal pubblico parigino.
Ad una delle repliche del Don Carlos, il 19 agosto 1867, assistette Ismail Pascià, khedivê d’Egitto e artefice della costruzione del canale di Suez, il quale propose a Verdi, che in quei giorni venne immortalato nelle celebri foto di Nadar, la composizione di un inno celebrativo per l’inaugurazione del nuovo teatro d’opera che lo stesso governatore egiziano intendeva edificare a Il Cairo. Il compositore, refrattario alla scrittura di brani d’occasione, oppose un netto rifiuto alla proposta di Ismail Pascià, ma cedette in un secondo tempo alle lusinghe del khedivê accettando di mettere in musica un libretto di Ghislanzoni, Aida, verseggiato a partire da un copione che l’egittologo francese Auguste Mariette inviò a Verdi il 14 maggio 1870. A dimostrazione del fatto che Aida fu a tutti gli effetti un progetto musicale nato sulle rive della Senna, lo stesso Mariette il 29 luglio 1870 sottopose al Maestro italiano il contratto per la composizione dell’opera, i cui apparati scenografici e i costumi di scena vennero interamente realizzati a Parigi. Lo scoppio della guerra franco-prussiana bloccò il trasporto del materiale in Egitto, costringendo il rinvio della “prima” di Aida dal preventivato gennaio al 24 dicembre del 1871, con conseguente posticipo del debutto europeo alla Scala l’8 febbraio 1872.
Gli anni Settanta videro intensificarsi i soggiorni parigini di Verdi: nei primi di aprile del 1870, alla vigilia del menzionato conflitto, in una lettera a Clara Maffei descrisse la capitale francese come «allegra, bella, splendida»; dal 9 giugno 1874 diresse la Messa da Requiem all’Opéra-Comique; il 22 aprile 1876 salì sul podio dell’orchestra del Théâtre-Italien per dirigere Aida e la Messa da Requiem, intrerpretate entrambe da Teresa Stolz; il I° giugno dello stesso anno, nella propria suite all’Hôtel de Bade, fece eseguire in forma privata il Quartetto per archi; nel giugno del 1877 visitò l’Esposizione universale (a dieci anni esatti da quella ammirata in compagnia di Angelo Mariani) e frequentò i principali teatri d’opera e di prosa.
Nella fase di gestazione di Otello, Verdi si recò a Parigi nel marzo 1886 in compagnia della moglie e di Emanuele Muzio. per scritturare Victor Maurel, futuro Jago nell’opera shakespeariana. A questo periodo risalgono i due celebri ritratti che Giovanni Boldini fece al Maestro nel proprio atelier di Place Pigalle, attualmente conservati il primo alla Casa di riposo per musicisti e il secondo alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.
Il 18 aprile 1894 andò in scena all’Opéra-Comique la première di Falstaff, ma Verdi raggiunse Parigi, per il suo ultimo soggiorno transalpino, solamente il 26 settembre, assistendo due settimane più tardi all’Opéra, il 12 ottobre, alla prima francese di Otello (una celebre foto lo immortala a fianco di Mauriel, in costume di scena), serata nel corso della quale Verdi ricevette da parte del presidente della Repubblica Jean-Casimir Périer la notizia del conferimento della Grand Croix de la Légion d’honneur. Come suggello al quarantennale sodalizio artistico fra il Maestro e la Ville Lumière, il 7 aprile 1898, su iniziativa di Arrigo Boito e Paul Taffanel vennero eseguiti in prima assoluta all’Opéra i Pezzi sacri, privi, per volontà di Verdi, dell’Ave Maria. Le precarie condizioni di salute del compositore sconsigliarono in quella circostanza un viaggio in Francia, ma Verdi, dalla propria residenza genovese scrisse a Boito dicendosi «per sempre grato dell’immensa prova di amicizia che m’avete data andando a Parigi».