Dopo le traversìe vissute da Verdi e Giuseppina Strepponi nel loro soggiorno bussetano a Palazzo Dordoni-Cavalli, il Maestro – esasperato dalle continue intromissioni dei concittadini nella sua vita privata – decise di acquistare dalla famiglia Merli, con contratto datato 1° maggio 1848, un podere con annesso casale nella frazione di Sant’Agata di Villanova sull’Arda, nel quale la coppia si trasferì solamente tre anni più tardi. La magione di campagna divenne il luogo d’elezione del compositore, il buen retiro nel quale, oltre a dedicarsi alla musica (tra quelle mura videro la luce Traviata, Un ballo in maschera, Aroldo, La forza del destino, Aida, Otello, Falstaff, i Quattro pezzi sacri), Verdi ebbe modo di coltivare le proprie eclettiche passioni: «Così io faccio l’architetto, il mastro-muratore, il fabbro-ferraio, un po’ di tutto. Quindi addio libri, addio musica; mi pare di aver dimenticato e di non conoscere più le note». A partire dal 1857, grazie all’acquisto di numerose tenute limitrofe a quella di Sant’Agata – tra le quali le più estese furono quelle di Piantadoro, con annesso caseificio, e Castellazzo – Verdi poté pianificare coltivazioni e allevamenti su circa mille ettari di terreno e nel 1860 lo stesso musicista diede il via ai lavori – protrattisi per due anni – per trasformare il casale in una vera e propria villa. Il bisogno del compositore di un contatto diretto con la natura emerge in una lettera a Luccardi datata 5 novembre 1852, quando dovendo, recarsi a Roma, scriveva: «Io sarò a Roma verso il 20 Dic anzi ti scriverò ancora per pregarmi di trovarmi un appartamento di due o tre stanze a tuo gusto all’Europa. Non m’importa andare in alto, ma io vorrei sole: sono abituato da due o tre anni in campagna e le mura mi soffocano. Sole Sole Sole!…». A contatto con le maestranze impegnate nella gestione quotidiana delle proprie tenute («Sono lavori inutili per me» – diceva il Maestro – «perché queste fabbriche non faranno che i fondi mi diano un centesimo più di rendita; ma tanto tanto, la gente guadagna, e nel mio villaggio la gente non emigra»), Verdi constatò quanto fossero precarie le condizioni di vita della popolazione locale, privata persino del diritto ad una basilare assistenza sanitaria (il nosocomio più vicino era quello di Piacenza, a ben 35 chilometri di distanza). A tal proposito, il compositore acquistò a Villanova un appezzamento di circa un ettaro e decise di costruirvi un ospedale, che venne inaugurato il 5 novembre 1888 alla presenza dello stesso Maestro e di Giuseppina Strepponi. Per il celebre e acclamato soprano l’impatto con la vita solitaria di Sant’Agata fu tutt’altro che agevole e la stessa impressione negativa di quei luoghi ebbe Piave, impegnato con Verdi nella stesura del libretto di Traviata: «Addio mondo! Restarmi io deggio lungamente qui (grazia a Dio non eternamente.) Quando poi piove ti assicuro che l’è un’affare se si usassero le metamorfosi, da guardarsi spesso allo specchio per vedere che le forme restano umane o si tramutano in quelle di qualche rospo o ranocchio! Auf!… Pazienza!». Con il passare degli anni la Strepponi cominciò ad apprezzare i silenzi e la quiete della campagna, sebbene nel 1853 avesse proposto a Verdi l’acquisto di terreni «nel mezzogiorno della Francia, dell’Inghilterra, della Grecia, della Turchia ecc.», esigenza dettata dal desiderio della cantante di coniugare gli otia rustica con la possibilità di godere di un clima più salubre rispetto alla Bassa Piacentina. Non che lo stesso Verdi non soffrisse delle rigide e nebbiose atmosfere padane, tuttavia il Maestro consolidò il proprio legame con Sant’Agata non solo grazie alla propria indole, ma anche per aver vissuto tra quelle mura alcuni toccanti ricordi di vita familiare: l’11 ottobre 1878, nell’oratorio che fece edificare all’interno del proprio podere, accompagnò all’altare Filomena, figlia del cugino Marco, che il compositore decise di prendere in adozione dopo la morte dei genitori; così come – evento di segno opposto – dovette assistere alla lenta agonia della Strepponi, che terminò i suoi giorni il 14 novembre 1897. Gli incontri con amici e collaboratori si alternarono a parentesi di malinconica solitudine fino al mese di dicembre del 1900, quando Verdi, accompagnato dall’inseparabile Teresa Stolz, decise di tornare a Milano, dove morì il 27 gennaio 1901.