Un dizionario di termini specialistici concernenti il melodramma per una migliore comprensione di alcune parole usate nei testi e nei filmati di presentazione delle singole opere.
Aria: Composizione vocale melodica in forma chiusa, articolata in forma strofica. Contrapposta al recitativo – quest’ultimo di carattere cinetico –, l’aria si caratterizza come parentesi musicale sospesa, nel corso della quale il personaggio esprime il proprio stato d’animo in relazione alle vicende vissute. Dopo l’aria bipartita (A-B o A-A’) in auge nell’opera del Seicento e l’aria col da capo (A-B-A’) sviluppatasi nell’opera seria del Settecento, agli albori del XIX secolo le forme più libere delle arie d’opera buffa condussero ad una polarizzazione del discorso musicale su due movimenti contrastanti, un cantabile e una cabaletta, raccordati tra loro da un tempo di mezzo.
Arioso: Recitativo caratterizzato da tendenza melodica.
Ballo: Nei teatri italiani il ballo era di norma programmato come spettacolo a sé al termine dell’esecuzione dell’opera o tra un atto e l’altro di essa. All’Opéra di Parigi era invece d’obbligo inserire un ballo all’interno dell’opera in genere nel III atto. Quando Verdi scrisse o adattò le sue partiture per quel teatro dovette attenersi a questa prescrizione, come attestano i balli presenti in Jerusalem (III,1), rifacimento in francese de I lombardi alla prima crociata, in Les Vêpres siciliennes (III,5), destinati appunto all’Opéra di Parigi, in Le trouvère (III,1), versione francese de Il trovatore, nell’edizione francese di Macbeth (III,1), nel Don Carlos in cinque atti, scritto per l’Opéra (III,2), in Othello, versione francese di Otello (III,6). In Aida le danze sono invece presenti nell’edizione originale, inserite dopo la Marcia trionfale.
Cabaletta: Sezione finale di una forma chiusa (numero) di carattere virtuosistico e brillante, in genere di andamento rapido che prevede di solito la ripetizione integrale della strofa.
Cadenza: Nelle forme chiuse l’episodio virtuosistico posto a conclusione del brano, dove il cantante può fare sfoggio dei suoi mezzi vocali.
Cantabile: Sezione a carattere statico dell’aria nella quale si manifestano i propri affetti attraverso una vocalità priva di virtuosismi e a forti tinte drammatiche, preludio al tempo di mezzo e alla cabaletta, in cui si passa, a causa di un improvviso evento, a una situazione del tutto diversa caratterizzata da un andamento concitato.
Cavatina: Aria solistica di sortita – spesso impreziosita da spunti virtuosistici – attraverso la quale un personaggio presenta le proprie caratteristiche vocali e drammaturgiche.
Coloratura: insieme di abbellimenti e variazioni virtuosistiche che ornano la linea melodica di un’aria. Nel Settecento venne lasciata ampia discrezionalità ai cantanti – in particolar modo ai castrati nelle arie col da capo – di improvvisare le colorature. Per arginare l’eccessivo protagonismo dei cantanti, Rossini decise di scrivere le colorature sul pentagramma, inaugurando una prassi adottata anche dai suoi successori.
Concertato: Parte di una scena o di un atto, caratterizzata dalla presenza contemporanea di molti o tutti i personaggi nonché spesso del Coro che interagiscono vocalmente fra loro generando una progressiva tensione drammaturgica che conduce alla Stretta finale.
Coro: Nel teatro d’opera rappresenta generalmente una collettività con un preciso ruolo drammaturgico: può identificarsi in un esercito, in un popolo, in una corte, ecc.. Può essere a organico misto, ossia con la presenza contemporanea di voci maschili (tenori e bassi) e femminili (soprani e contralti), oppure prevedere il solo coinvolgimento dell’uno o dell’altro genere. A partire dai primi dell’Ottocento i brani corali raggiungono una popolarità pari a quella delle arie solistiche, come nel caso – solo per citare due celebri esempi – di «Dal tuo stellato soglio» da Mosè in Egitto di Rossini o del «Va pensiero» da Nabucco di Verdi.
Direttore di scena: Il direttore di scena aveva nei teatri italiani dell’Ottocento il compito di sovrintendere all realizzazione scenica dello spettacolo. Tale compito, generalmente attribuito al poeta del teatro, può dunque essere paragonato all’incirca a quello del moderno regista ed aveva per Verdi un’importanza notevolissima, tanto che, a partite dagli anni Settanta, ne esercitò spesso di persona le funzioni.
Direttore d’orchestra: Nei primi tre decenni dell’Ottocento l’esecuzione musicale di un’opera era affidata al “maestro al cembalo”, che aveva il compito di preparare i cantanti e, in fase di esecuzione, di accompagnarli al cembalo nei recitativi, mentre il primo violino dirigeva l’orchestra, servendosi dell’archetto come di una bacchetta. Il compositore era obbligato per contratto ad assistere alle esecuzioni delle sue opere, prendendo posto accanto all’orchestra che all’epoca era sistemata a livello della platea e non in buca come avverrà a partire dalla fine dell’Ottocento, quando si diffonderà anche in Italia l’innovazione wagneriana del golfo mistico, scavato sotto il palcoscenico in modo da rendere invisibili agli spettatori la compagine orchestrale. Nel corso degli anni Quaranta comincia a emergere la figura autonoma del direttore d’orchestra che, abbandonato il ruolo di esecutore, sostiene solo quello di maestro concertatore e guida musicale. Lo stesso Verdi in occasione delle prime di alcune sue opere come per Macbeth (14 marzo 1847) o I masnadieri (23 luglio 1847) cominciò a svolgere questa funzione, assiso sopra uno scanno più alto di tutti gli altri e con la bacchetta in mano.
Disposizioni sceniche: Nate in Francia intorno al 1840 con il nome di livrets de mise-en-scène e poi diffuse anche in Italia nella seconda metà dell’Ottocento, le disposizioni sceniche intendevano stabilire per ciascuna opera un modello canonico sul piano della gestualità e dei movimenti, tale da poter essere riprodotto, sostanzialmente invariato, in ogni teatro. Le Disposizioni sceniche, pubblicate soprattutto in Italia da Casa Ricordi, si fondano dunque sull’idea che l’interpretazione di un’opera d’arte sia una sola, quella il più vicino possibile alle reali intenzioni degli autori, da riprodurre fedelmente senza alterazioni. L’efficacia pratica e la fortuna delle Disposizioni sceniche andarono rapidamente declinando solo nei primi decenni del Novecento, quando si affermarono nuove tecniche di allestimento e soprattutto l’idea di una regia intesa come libera ricreazione dell’opera d’arte, lontana da ogni passiva riproduzione di modelli prefissati.
Ensemble: Con questo termine si indica quell’episodio presente a volte nei Finali d’atto, destinato alle sole voci che cantano senza accompagnamento d’orchestra.
Finale: Parte conclusiva di un atto a cui partecipano molti o tutti i personaggi nonché il Coro e che di norma si struttura, a seconda della diversa funzione drammaturgica, in una Scena e Tempo di attacco, nei quali i personaggi si conmfrontano tra loro, in un Concertato, quasi sempre con andamento lento nel corso del quale i personaggi riflettono su quanto è accaduto, in un Tempo di mezzo che contrassegna un evento nuovo che modifica la situazione precedente e che può sfociare in un episodio per sole voci (ensemble) di impronta contemplativa che poi precipita nella Stretta finale.
Introduzione: Primo numero dell’opera su cui, dopo l’eventuale preludio o sinfonia, si apre il sipario. Ha la funzione di riassumere l’antefatto e di presentare almeno uno dei personaggi principali.
Libretto: Testo verbale strutturato in versi e utilizzato per la composizione musicale. Il libretto è diviso in numeri musicali (arie, duetti, terzetti, concertati), collegati l’uno all’altro da recitativi. La gran parte dei libretti trae spunto da fonti letterarie preesistenti e, nel caso specifico dell’opera dell’Ottocento, i librettisti attingono spesso dai classici del teatro francese, tedesco e inglese.
Maestro al cembalo: Nei teatri italiani, fino al momento in cui nasce la figura del moderno direttore d’orchestra è la persona incaricata di preparare i cantanti, di seguirne le prove e di accompagnarli durante lo spettacolo nell’esecuzione dei recitativi.
Numero musicale: L’opera è articolata in una serie di brani in forma chiusa detti numeri che non coincidono con le scene in cui si articola il libretto, basate sulle entrate e le uscite dei personaggi. Il numero, che può essere più breve o più lungo di una scena del libretto, è di norma strutturato convenzionalmente secondo cinque distinte partizioni, anche se tale schema-base risulta soggetto a frequenti “trasgressioni”: 1) Scena; 2) Tempo d’attacco; 3) Adagio (o Cantabile); 4) Tempo di mezzo; 5) Cabaletta. Il numero musicale corrisponde alla “solita forma”, locuzione coniata da Abramo Basevi nel 1859 – precedentemente abbozzata da Carlo Ritorni nel 1841 – per definire la struttura standard del duetto operistico nei primi Sessanta-Settant’anni dell’Ottocento, poi estesa anche all’aria solistica e al finale primo.
Partitura scheletro: Nella composizione di un’opera i musicisti dell’Ottocento soleva preparare un abbozzo con le parti vocali complete di note e parole, l’indicazione del basso e l’accenno a qualche intervento strumentale. Tale abbozzo, chiamato partitura scheletro, costituiva la base su cui effettuare poi l’orchestrazione che di norma veniva effettuata dal compositore nel corso delle prove in palcoscenico.
Parola scenica: Locuzione creata da Verdi nella sua corrispondenza con il librettista di Aida, Antonio Ghislanzoni. In una lettera del 17 agosto 1870 Verdi definisce la parola scenica “la parola che scolpisce e rende netta ed evidente la situazione”: secondo Verdi, è quindi necessario, soprattutto quando si entra nel vivo dell’azione, esprimere in modo incisivo ed icastico il momento drammaturgico, anche a costo di rompere il ritmo, la rima, la strofa, mirando dunque a fare non tanto poesia e musica, quanto teatro.
Pertichino: Termine usato nel repertorio operistico per designare un personaggio che ascolta in silenzio un’aria o un pezzo d’insieme o al massimo interviene con poche battute, introducendo o intercalando il canto dei personaggi principali.
Pezzi di insieme: Accanto all’aria e alle altre forme solistiche affini, l’opera si compone di pezzi di insieme in cui cantano due o più personaggi; a seconda del numero dei componenti si parla di duetto, terzetto, quartetto, quintetto, sestetto, settimino, ecc., con o senza coro.
Prologo: Il prologo ha in sostanza la struttura di un atto, ma è quasi sempre caratterizzato da una spiccata brevità e da una forte concentrazione drammatica. In esso viene infatti esposto l’antefatto della vicenda che precede di qualche anno oppure di molti anni gli accadimenti che si svolgeranno negli atti successivi.
Puntatura: Adattamento di una parte vocale a un nuovo interprete per il cui diverso registro vocale diventa necessario “mettere a punto” la parte (per esempio da mezzosoprano a soprano, ecc.).
Raddoppio: Esecuzione all’unisono di una stessa linea melodica.
Recitativo: Sezione cinetica dell’opera con la presenza di scene di dialogo o monologhi, espresse musicalmente attraverso uno stile di canto simile alla recitazione, il cui ritmo è definito dalla parola e non dalla scansione di una pulsazione ritmica regolare.
Il testo è organizzato in versi sciolti, ossia endecasillabi e settenari liberamente mescolati. Il recitativo secco prevede l’accompagnamento di un solo strumento a tastiera, clavicembalo o – a partire dai primi dell’Ottocento – fortepiano, a cui si può aggiungere un violoncello o un contrabbasso in funzione di basso continuo; il recitativo accompagnato consta di un accompagnamento affidato a più strumenti o all’orchestra a pieno organico.
Registro: Spettro di frequenze, ovvero un gruppo di note contigue, che possiedono uno stesso timbro vocale e in cui tutti i toni vengono percepiti in modo omogeneo. I registri determinano la tipologie vocali, che dalla più grave alla più acuta sono: basso, baritono, tenore, contralto, mezzosoprano, soprano. Nel teatro d’opera i profili drammaturgici dei personaggi arricchiscono di sfumature la gamma dei registri, come nel caso del soprano drammatico e di coloratura, del tenore di grazia o del basso buffo.
Scena: Articolazione interna dell’opera teatrale, di solito aderente alla struttura metrica del libretto, determinata da esigenze drammaturgiche. Il termine Scena viene invece utilizzato in senso musicale per indicare la parte iniziale di preparazione del numero musicale, caratterizzata da recitativo, frasi di arioso, eventuali interventi del Coro.
Selva: Riduzione di un testo teatrale, o un poema, o un romanzo, prima di essere trasformato in un libretto.
Solita forma: cfr. Numero musicale
Stretta: Sezione finale dei concertati d’opera, con forte impronta cinetica, omologa alla cabaletta nello schema della “solita forma”.
Tempo d’attacco: Sezione cinetica del Numero musicale caratterizzata da un dialogo tra personaggi, generalmente contrapposti tra loro, accompagnato dall’orchestra. Proprio per questa sua funzione dialettica, il tempo d’attacco non è presente nelle arie solistiche.
Tempo di mezzo: Sezione del Numero musicale a carattere cinetico – dal punto di vista drammaturgico spesso caratterizzata da colpi di scena – che segna il passaggio dal cantabile alla cabaletta.